Immigrazione ed integrazione: potenziale volano per lo sviluppo del Paese

In questi giorni è tornata in primo piano la tematica dell’immigrazione, che è un argomento di primaria importanza nella vita sociale dei nostri cittadini, per le implicazioni sul lavoro e sulla sicurezza sociale del nostro Paese.

L’anno 2016 per quanto riguarda l’immigrazione in Italia ed in Europa può essere definito come l’anno dei record, secondo dati del UNHCR (Alto commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati – United Nations High Commissioner for Refugees) tra l’1 gennaio ed il 31 dicembre 2016 sono arrivati nell’intera Europa 361.578 persone di cui 181.405 in Italia e 173.447 in Grecia.

È  chiaro che il problema grava principalmente su questi due Paesi. In considerazione degli accordi con la Turchia gli arrivi in Grecia sono drasticamente calati rispetto al 2015 riducendo gli arrivi totali del 64%. Rimane quindi il problema italiano, dove gli arrivi non si sono ridotti, anzi sono aumentati del 18%.

Nello stesso periodo 5.022 persone sono morte in mare cercando di raggiungere l’Europa. Nell’anno 2015 l’Unione Europea ha deciso di introdurre le quote sull’immigrazione, finalizzate alla ridistribuzione degli immigrati presenti sul territorio europeo tra tutti gli Stati membri, soluzione basata sull’articolo 78 paragrafo 3 del Trattato sul Funzionamento dell’ Unione Europea. Secondo tale sistema l’Italia dovrebbe accogliere l’11.84% di immigrati e poiché ha già raggiunto tale soglia non dovrebbe accoglierne altri. Allo stato attuale solo una piccola percentuale di migranti è stata effettivamente distribuita dall’Italia in altri Paesi della UE.

L’attuale Ministro dell’Interno Marco Minniti, che riscontrando il mancato funzionamento del sistema delle espulsioni e dei rimpatri, ha deciso di intervenire su due direttive, ossia severità  e integrazione. Lo stesso impronta la sua politica anche sull’apertura di nuovi CIE (centri di identificazione e di espulsione), uno per ogni regione, al fine di accelerare i rimpatri, in considerazione del fatto che, mediamente, solo  il 40 % dei richiedenti asilo riesce ad ottenere lo status di rifugiato. Stando ai dati dell’Osservatorio Nazionale sulle Condizioni di Detenzione pubblicati dall’Associazione Antigone, nelle carceri italiane, al 30 giugno 2016  erano presenti 54.072 detenuti.

In un anno i detenuti sono cresciuti di 1.318 unità. Erano infatti 52.754 alla stessa data del 2015. Al 30 giugno 2016, i detenuti stranieri presenti nelle carceri italiane erano 18.166, rappresentativi del 33,5% della popolazione reclusa. Gli stranieri hanno contribuito notevolmente a tale crescita, facendo balzare l’Italia al terzo posto in Europa come popolazione carceraria di origine straniera, raggiungendo la ragguardevole percentuale del 33,5%, decisamente più alta della media europea. 

Le nazionalità più rappresentate sono il Marocco, la Romania, l’Albania, la Tunisia, la Nigeria, l’Egitto, l’Algeria, il Senegal, la Cina e l’Ecuador. È’ chiarissimo che una pressione così alta determina un sovraffollamento carcerario, in funzione anche della chiusura di alcuni istituti di pena (i quali, in sei anni sono passati da 209 a 193, per esigenze di razionalizzazione), elevando notevolmente i costi di detenzione e recupero a carico dello Stato italiano. Infatti per tutte queste persone recluse si spendono circa 150 euro ciascuno al giorno (54.750 Euro cadauno su base annua).

Una cifra decisamente esagerata, se si pensa che in Polonia (tanto per fare un esempio) lo Stato ne spende 20 Euro a persona al giorno. Relativamente alla popolazione carceraria di origine straniera, a parere dell’Associazione Sicurezza, Giustizia e Legalità-Osservatorio per l’Europa, si potrebbe ricorrere ad effettuare degli accordi anche di carattere economico con i Paesi di origine dei carcerati, affinché questi vadano a scontare la pena residua nei loro Paesi di provenienza.

Qualora gli accordi tra lo Stato italiano e gli altri Stati stranieri, a cui appartengono i detenuti da espellere dal nostro Paese dovessero avere un costo, sicuramente non sarà così ingente come quello che si affronta attualmente nel nostro Paese.  Tornando sull’azione del nuovo Ministro dell’Interno, certamente egli sta lavorando nella giusta direzione, ma c’è ancora molto da fare, a cominciare dagli accordi con i Paesi di provenienza dei migranti, al fine di limitare l’arrivo in Europa degli stranieri, attraverso una politica di sviluppo e sostegno  nei Paesi di provenienza.

Si ricorda che il fenomeno non riguarda solo alcuni Paesi del Mediterraneo, ma ormai l’intera Europa e tutti i Paesi debbono concorrere con le proprie risorse, per cercare di trovare una soluzione comune e definitiva, dividendo equamente le quote dei richiedenti asilo. Va detto inoltre che l’iter di riconoscimento dello status di rifugiato, ossia il riconoscimento dello status di protezione sussidiaria, o di protezione umanitaria è decisamente lungo e variabile e sovente, infatti supera anche un anno. Il richiedente asilo, decorsi sessanta giorni dalla presentazione della domanda di protezione può lavorare.

Dopo il secondo rinnovo, egli ha diritto a un permesso di soggiorno per 6 mesi, che rechi la dicitura esplicita che si tratta di un permesso che gli consente l’attività lavorativa. In ogni caso, il rifugiato ed il beneficiario di protezione umanitaria possono iscriversi al Servizio Sanitario Nazionale, che gli dà diritto, con l’esenzione del ticket, al medico di base e alle prestazioni specialistiche.

Sindaci ed amministratori, a vari livelli chiedono sempre più insistentemente che gli stranieri beneficiari dell’ospitalità italiana lavorino gratuitamente come contropartita per quanto essi ricevono, sia in aree terremotate che per tutte le varie esigenze di cui le nostre città necessitano.

In effetti, per ovviare all’inattività dei migranti, già nel 2014 è stata emanata una circolare a firma del capo del Dipartimento delle Libertà Civili ed Immigrazione del Viminale, il Prefetto Mario Morcone, avente ad oggetto: «Attività di volontariato svolte dai migranti» (Ministero dell’Interno – Circolare 27 novembre 2014, prot.n. 14290). Pertanto, come spiega tale circolare, i destinatari debbono avviare i protocolli d’intesa con gli enti locali, anche costituiti in consorzio, volti a porre in essere percorsi finalizzati a superare la condizione di passività. Un altro aspetto che va doverosamente affrontato è quello dell’integrazione degli stranieri nel nostro Paese, che è necessariamente parte della condivisione.

Qual è quindi il modello di integrazione? Forse quello che si sta mettendo in atto con una distribuzione degli stranieri in vaste aree del territorio e soprattutto nelle grandi città? Lasciando i richiedenti asilo senza alcuna occupazione a girovagare per le città?  Si pensi, ad esempio, alle problematiche sociali create in città come Roma, Firenze, Milano, nelle quali, la percezione di insicurezza, dovuta alla notevole presenza di immigrati è cresciuta, avendo anche ripercussioni negative sul turismo e sulla sicurezza stessa del territorio italiano.  Spesso si è parlato in Italia dello spopolamento delle aree rurali ed in particolare di alcuni piccoli comuni, i cui sindaci hanno venduto le abitazioni inutilizzate, alla cifra simbolica di un euro. Questa idea fu lanciata per prima nella città di Salemi e, successivamente fu poi imitata da almeno altri nove fra Comuni e frazioni del nostro Paese, con esiti differenti.

Quindi, perché non far rinascere queste aree del territorio abbandonate da molti italiani, che sarebbero disponibili ad accogliere i nuovi arrivati, desiderosi di trovare una casa ed un lavoro? Un esempio in tal senso, che definirei il caso più eclatante e di successo di questo modello di sana integrazione è rappresentato da quello lanciato a Riace (RC), paese noto per il ritrovamento avvenuto a largo del proprio mare nel  1972, dei famosi bronzi di provenienza greca, che ha fatto dei migranti una risorsa capace di combattere lo spopolamento e divenendo allo stesso tempo volano di sviluppo e di crescita del territorio, creando una fonte di reddito e di arricchimento culturale, anche per i residenti. Nel 1998 la comunità di Riace, comune di circa 1.800 abitanti accolse, a seguito di uno sbarco, duecento profughi provenienti dal Kurdistan a Riace Marina.

Nell’immediatezza, l’associazione Città Futura e, successivamente, altre associazioni e cooperative hanno deciso di aiutare i migranti appena sbarcati, mettendo a loro disposizione le vecchie case disabitate ed abbandonate dai proprietari, creando progetti di accoglienza e di integrazione per gli immigrati, nonché lavoro per giovani e disoccupati.

A seguito delle politiche messe in atto dall’Amministrazione comunale ed in particolar modo dal sindaco Mimmo Lucano, il numero degli immigrati è aumentato, fino a toccare quota 459 al 1.1.2016, accogliendo anche  gli immigrati irregolari con diritto d’asilo e creando i presupposti per la nascita di micro attività imprenditoriali, legate all’artigianato e quindi mantenendo funzionanti i servizi di fondamentale importanza, come la scuola. Grazie a questi e ad altri progetti di accoglienza e di integrazione, che hanno suscitato enorme interesse internazionale, il primo cittadino Mimmo Lucano, nell’anno 2010, si è classificato terzo nella competizione mondiale dei sindaci ed è stato inserito dalla rivista americana Fortune al quarantesimo posto della classifica dei cinquanta uomini più influenti del mondo.

L’integrazione controllata crea sviluppo, ricchezza e cultura ed è la vera via per l’integrazione dei popoli, per convivere pacificamente. Accogliere gli stranieri ed abbandonarli a se stessi non è accoglienza, ma è solo sfruttamento, finalizzato ad incamerare i contributi europei e, in parole povere è una nuova forma di schiavismo, che porta soldi facili nelle tasche di alcuni albergatori, di imprenditori in genere e di alcune associazioni, pronti a fare i loro interessi.

Non si vogliono però stigmatizzare le categorie, ma tra loro esistono, come è stato evidenziato dalla cronaca, soggetti che non mostrano interesse verso lo sviluppo e l’integrazione dei migranti. L’immigrazione incontrollata di massa genera necessariamente una guerra tra poveri, ossia tra gli italiani e gli stranieri già presenti in Italia ed i nuovi arrivati, i quali si dovranno contendere gli alloggi ed i lavori disponibili, le periferie disagiate e degradate delle nostre città ed i residui di uno stato sociale sempre più debole, ormai al collasso e con pochi spiccioli da distribuire.

Questo stato di cose può generare solo odio etnico e razziale e se non si interviene tempestivamente, porterà alla guerriglia urbana nelle nostre città, con gravi e consistenti danni dal punto di vista dell’ordine e della sicurezza pubblica.
Pertanto, è auspicabile che le forze politiche ed il governo affrontino concretamente la problematica dell’immigrazione insieme agli altri Paesi dell’Unione Europea, per evitare pericoli sempre più latenti per la sicurezza interna della nostra Nazione.

Il Presidente dell’Associazione Sicurezza,Giustizia e Legalità Osservatorio per l’Europa

Dott. Michele Alessi

 

                                                                                         

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